venerdì 29 marzo 2013

Come finisce l’amore per il calcio


Il papà di Yuri è molto pittoresco soprattutto durante le partite. Lino, infatti, si appende alla rete e urla a squarciagola dal primo all'ultimo secondo dell’incontro. Quando qualcuno ha provato gentilmente a chiedergli di moderarsi è stato malamente sollevato in aria come un fuscello, agitato e buttato da parte. Noi ci vergogniamo un po’ e cerchiamo di starne a distanza ma non sempre è possibile e poi il suo Yuri gioca in squadra con i nostri ragazzi. 
Il bambino a differenza del padre ha modi molti gentili e un viso angelico. Sicuramente avrà preso dalla madre. Io non l’ho vista. Mi dicono che sia venuta solo una volta agli allenamenti accompagnata da una scorta di 5 marmocchi molto vivaci. A Lino probabilmente non hanno spiegato che esistono i contraccettivi. 
Tornando al pallone questo genitore condiziona, soffoca e confonde molto il figlio urlandogli ordini di gioco durante le partite. È veramente insopportabile. Il bambino reagisce male e invece di crescere continua a regredire provocando le ire di Lino. Potrebbe essere un buon centrale nel gioco ma è evidente che oramai per colpa del padre si è disinnamorato del calcio. Gioca solo per farlo contento. Non si diverte più. (continua)

martedì 26 marzo 2013

Prima regola: non contraddire il papà di Yuri



Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Uno degli eventi più traumatici che ho subito in questi anni di dipendenza è stato causato da un altro genitore. Un tizio che rappresenta un mix perfetto tra l’uomo di Neanderland e il più cattivo stereotipo dello scaricatore di porto. Si chiama Lino, gestisce una piccola ditta di pulizie sfruttando immigrati irregolari e si presenta al campo durante gli allenamenti sempre con qualcosa di nuovo (e di dubbia provenienza) da vendere: notebook, cellulari, pentole e videocamere. Vi dico subito che abbiamo sempre ringraziato ma evitato di acquistare, anche per non correre il rischio di commettere il reato di ricettazione. Lino è pieno di tatuaggi, con una brutta cicatrice sul lato sinistro del viso e la barba spesso incolta. Insomma, è un tipo che è meglio non incontrare di notte per strada. Per una ragione a noi incomprensibile ha chiamato il figlio Yuri. È convinto che sia un campione, un bambino di sette anni destinato a giocare in Serie A. Noi non l’abbiamo mai contraddetto, anche se il piccolo in campo ci sembra un tantino impacciato. (continua)

domenica 24 marzo 2013

Quelli che mio figlio è un campione


Vi raccontavo dei genitori che legano fra loro e altri che invece alimentano contrasti, invidie e antipatie. C’è il papà a cui non interessa niente di quello che succede in campo. Il figlio potrebbe fare danza classica o pugilato. Non fa differenza. Questo genitore è quasi invisibile. Lo si vede soltanto all'inizio e alla fine degli allenamenti. Difficilmente scambia una parola con altri genitori, perfino quando ci sono le partite resta zitto e in disparte. L’importante per lui è solo impegnare il pupo fuori di casa per qualche ora, due volte la settimana, in modo da poter sbrigare altre faccende con più libertà. Poi c’è il papà ultra tifoso che crede (o spera) di avere un figlio campione, un marmocchio che ha cresciuto esclusivamente a pane e partite. È il più pericoloso di tutti perché spesso con un comportamento esagitato e battutacce genera dissapori nel gruppo dei genitori. Se, indipendentemente dall'esito della partita, suo figlio gioca bene e segna qualche goal, la Soccer Kids è la migliore squadra del mondo. Se al bimbo capitano due o più giornate negative o scopre “drammaticamente” che non è portato per il pallone, inizia a lamentarsi urlando che tutta la squadra fa schifo (e soprattutto per colpa del cattivo gioco dei figli degli altri). E infine c’è il papà razionale, magari anche con la passione del calcio che ha trasmesso al figlio (nel mio caso è accaduto l’inverso), ma sempre con i piedi per terra. Lui riesce a vedere le cose per quello che sono: bambini bravi e meno bravi che giocano, si divertono e imparano (se ci sono i presupposti) a diventare dei potenziali baby calciatori. Adesso sono stanco. Continuerò a raccontarvi queste storie alla prossima seduta.

venerdì 22 marzo 2013

Scuola calcio o baby parking?


In una squadra di piccoli amici ci possono essere bambini molto portanti al gioco del calcio. Hanno delle qualità che possono essere adeguatamente sviluppate attraverso gli insegnamenti mirati di un buon allenatore, che a sua volta dovrebbe ricevere adeguate istruzioni dal dirigente sportivo della società. 
Altri bambini invece sono palesemente indietro e non riescono a tenere il ritmo della squadra. Quando sono così piccoli, soprattutto le società dilettantistiche non fanno un minimo di selezione. Anzi, molte realtà prendono tutti a prescindere, senza alcun criterio. L’unico obiettivo è di fare business con le iscrizioni. Più bimbi si iscrivono meglio è per le casse delle società. In questo modo però si creano situazioni strane, un calderone confuso che non serve a nessuno. 
Ci sono tanti bambini che hanno passione e talento, altri solo la passione. E altri infine che sembrano capitati nel campo di gioco per caso, quasi abbandonati. I loro genitori infatti hanno solo bisogno di posteggiarli da qualche parte. Non ha importanza l’attività svolta. Piscina, palestra, danza, calcio, sono per loro sono la stessa cosa. Spesso questi bambini “costretti e abbandonati” saltano gli allenamenti, spariscono per settimane e poi come se niente fosse rientrano in squadra con inevitabili effetti negativi. Gli altri sono cresciuti da più punti di vista, loro invece sono rimasti molto indietro e questa situazione compromette l’equilibrio generale della squadra. 
I bambini ovviamente non hanno colpa. I responsabili sono sempre i genitori che dovrebbero prestare più attenzione alle reali esigenze dei figli, cercando di trovare per loro l’attività più congeniale da svolgere nel tempo libero. Il calcio, bello o brutto che sia, è un gioco di squadra. (continua)

martedì 19 marzo 2013

Gioco di squadra e sacrifici

Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Questa terapia di gruppo via web inizia a farmi sentire meglio. Avere un figlio che gioca a calcio è cosa molto impegnativa, nonché occasione per avviare delle relazioni positive ma non per tutti. Se i bimbi in campo (sviluppando lo spirito di quadra e di sacrificio) iniziano a diventare piccoli uomini, lo stesso non può dirsi per molti dei loro genitori che invece regrediscono. Alcuni riescono a fare gruppo e spesso nascono amicizie sincere e durature. Certe famiglie iniziano a frequentarsi anche fuori dal campo e continuano a farlo perfino quando, per mille ragioni diverse, uno dei bambini smette di fare calcio. Altri invece si lasciano prendere da invidie, gelosie, insomma dalle bassezze umane con il rischio di inquinare l’ambiente, di trasformarlo in uno sgradevole covo di vipere. (continua)

domenica 17 marzo 2013

Come allo stadio


Avete presente le scimmie rinchiuse nella gabbia di uno zoo? È quello che sembrano i genitori quando i loro figli disputano un torneo di calcio e lo stadio si riempie di famiglie come un uovo. In preda ad una crisi collettiva si appendono alla rete. E iniziano a fare il tifo suonando le trombe, aprendo striscioni, urlando cori. Tutto questo è davvero pittoresco per usare un eufemismo. 
Una volta un papà di una squadra avversaria aveva portato un altoparlante collegato a uno strano marchingegno. A ogni azione di un giocatore della sua squadra faceva partire un effetto sonoro ad un volume così alto da fare impallidire perfino l’impianto di amplificazione di un mega concerto di hard rock. Rumori così forti e fastidiosi da fare girare le palle non soltanto nel campo. 
Mi ricordo che in quell'occasione Luca alla fine del primo tempo di una delle partite si è avvicinato alla rete. Non l’avevo mai visto arrabbiato in quel modo. Accigliato e con le labbra strette piegare in basso. Ha guardato negli occhi il proprietario di quell'aggeggio infernale e gli ha intimato: “Lo spegni quel coso che ci dà fastidio. Non lo capisci? Basta per favore”. Lui e tutti gli adulti presenti si sono guardati in faccia e si sono vergognati. Continuerò a raccontarvi queste storie alla prossima seduta.

venerdì 15 marzo 2013

La palla gira, i bimbi crescono


Anche io sono finito appeso alla rete. Quando la dipendenza non aveva ancora preso il sopravvento, riuscivo a contenermi. Ogni tanto urlavo con un po’ di timidezza qualche frase di incoraggiamento come “Forza Luca” o “Dai Soccer Kids”. Il punto è che a ogni allenamento, a ogni partita i bambini crescono e anche se sono ancora dei nani con le scarpette la gara ti prende. Non corrono più in massa dietro alla palla che gira. Ognuno ha un ruolo ben definito in campo, secondo le direttive del momento dettate dall'allenatore. Inizia a prendere forma la bozza di un gioco di squadra. E tutto questo esalta. Impossibile resistere alla tentazione. Impossibile non fare il tifo. Poi come sempre c’è chi esagera ma fa parte del pacchetto. (continua)

mercoledì 13 marzo 2013

Il tifoso discende dalla scimmia

Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. È inevitabile come la morte. Prima o poi deve accadere. Anche il più equilibrato genitore finisce appeso alla rete che separa gli spalti dal campo di calcio. La prima volta può accadere per puro istinto perché il figlio subisce un fallo o sta per segnare in rete dopo aver dribblato come birilli gli avversari. Poi una cosa misteriosa e incontrollabile lentamente nasce dentro, si ramifica nel cervello e prende possesso dei pochi neuroni attivi. Da questo momento non c’è più scampo. È come un terribile virus, infetta tutti. E i genitori si ritrovano automaticamente e perennemente appesi alla rete con gli occhi spiritati, a urlare come venditori ambulanti e ad agitarsi in preda a una crisi di nervi. Di fronte a un simile spettacolo è difficile contestare la teoria scientifica di Darwin, ossia che il tifoso (l’uomo) discende dalla scimmia. (continua)

domenica 10 marzo 2013

Assalto all'arbitro


L'arbitro richiama solo verbalmente l'allenatore della Soccer Kids e indica il dischetto. Il numero 10 si prepara a tirare il rigore. Libera un calcio potente e la palla si infila in basso, nell'angolino sinistro. Il portiere si è tuffato dal lato giusto ma non ci è arrivato. La squadra avversaria esulta. Faccia di Topo invece invade il campo, si scaraventa contro l'arbitro e lo riempie di pugni. Quando riescono a staccarglielo è troppo tardi, il giudice di gara è una maschera di sangue. Il topo è immediatamente licenziato dalla società. Oggi me lo ritrovo responsabile del settore giovanile di un'altra società calcistica. Vi rendete conto? Faccia di Topo è il responsabile dei ragazzini. Come avrà fatto? Un tipo così dovrebbe essere rinchiuso in un centro di cura mentale permanente. Invece, gli hanno affidato la gestione dei più piccolini. Questo è uno dei tanti misteri del calcio. Continuerò a raccontarvi queste storie alla prossima seduta.

venerdì 8 marzo 2013

Per un calcio di rigore


Le imprese di Faccia di Topo sono indimenticabili. Due anni fa durante una partita domenicale della categoria Juniores ha toccato il fondo. In campo ha sempre urlato, strapazzato i suoi giocatori, insultato pesantemente avversari, arbitri, genitori. In sintesi: chiunque gli capitasse a tiro. Spesso e volentieri è stato espulso dal campo, sospeso e perfino minacciato. Ma quella volta ha superato se stesso. 
Vi racconto il fattaccio. Un giocatore della squadra avversaria sta per ricevere un cross e si coordina per calciare al volo verso la porta. Non riesce a colpire la palla perché un difensore della Soccer Kids gli entra in scivolata con i piedi a martello facendolo saltare in aria. L’arbitro espelle il difensore e assegna un calcio di rigore. Faccia di Topo non ci sta e gli urla che il fallo è avvenuto poco fuori dall'area. Si agita, bestemmia, sbatte con violenza a terra la cartella con tutti i suoi appunti. Non si preoccupa delle decine di bambini dei Pulcini che stanno guardando la partita perché dopo toccherà a loro entrare in campo. (continua)

martedì 5 marzo 2013

Il terribile Faccia di Topo


Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Questa è la nona seduta di terapia. La scorsa domenica ho avuto un incontro poco piacevole. La Soccer Kids ha giocato una partita in un stadio sperduto della provincia. Una struttura imponente ma vecchia. Nell'attesa dell’ingresso in campo dei bambini per la fase di riscaldamento, sono andato al bar a prendere un caffè e mi sono ritrovato davanti il terribile “Faccia di Topo”, un ex allenatore della Soccer Kids. Un personaggio viscido, violento e pericoloso che per mia fortuna ha sempre allenato le squadre dei ragazzi più grandi. Un fisico asciutto, abbronzatura color aragosta anche in pieno inverno, qualche tatuaggio di troppo e quell'inconfondibile faccia di ratto con baffi lunghi e sottili. Insomma, un tipo che ricorda tanto gli sgherri disegnati da Walt Disney. Mi ricordo benissimo di lui e soprattutto che cosa ha fatto. (continua)

domenica 3 marzo 2013

Peggio degli ultras


Nello stadio è scoppiato il caos. In campo i bambini stanno disputando gli ultimi minuti della finale. Sugli spalti invece due mamme di opposti schieramenti si stanno azzuffando senza risparmiarsi borsate, parolacce e tirate di capelli. Luca segna un altro goal e chiude la partita. Evento questo che complica la situazione. I mariti intervengono per sedare le due donne, ma sono così carichi di adrenalina che a loro volta vengono alle mani.  Interviene un altro genitore urlando contro i supporter della squadra avversaria, poi un altro ancora. Non ci capisce più nulla. Peggio degli ultras. Soltanto l’arrivo della polizia locale riesce a sedare gli animi. Intanto, nel campo è iniziata la cerimonia di consegna dei trofei e delle medaglie. I bambini, almeno questa volta, non si sono accorti di nulla. Adesso devo scappare per accompagnare mio figlio all'allenamento. Continuerò a raccontarvi queste storie alla prossima seduta.

venerdì 1 marzo 2013

Mamme, risse e altre catastrofi


È la finale del torneo. La squadra di Luca è imbattuta. I palchi sono pieni di genitori esagitati. C’è un rumoroso gruppo dell’altra squadra che improvvisa cori da stadio, un papà che ogni tre per due suona un’assordante tromba e, non molto distanti dalla mia posizione, tre mamme all'apparenza molto tranquille rispetto al resto della comitiva. Sono sedute sui gradini in silenzio tenendo le ginocchia congiunte con la borsa sopra. È iniziato l’ultimo tempo. Le squadre sono in una situazione di parità. Bisogna vincere per conquistare il primo posto. Luca segna il goal del vantaggio. La situazione si surriscalda. Una delle tre mamme si volta verso di me e gli altri genitori della Soccer Kids. “Certo che i vostri figli sono troppo aggressivi”. Nessuno le dà retta, pur provando un certo senso di fastidio, qualcosa che si muove nello stomaco. Lei insiste. “Il numero 10 è proprio un animale, dovreste mandarlo a fare rugby. È ovvio che con un fisico così nessuno riesca a fermarlo. Lo riempite di anabolizzanti?”. Sta parlando di mio figlio, ma faccio finta di niente. Non voglio cadere nella provocazione. Lei insiste. “Il numero 5 invece sembra un paraplegico. Guardate che impacciato, ci vuole coraggio a farlo giocare in una squadra”. Sta parlando di uno dei difensori della Soccer Kids, la cui mamma ha sentito tutto. Infatti, si volta verso di lei e le urla: “Brutta stronza, ripeti ancora quello che hai detto. Paraplegico ci sarà tuo figlio”. L’altra afferra la borsa come un’arma, la ruota nell'aria e la colpisce a un fianco. È la fine. (continua)