venerdì 25 maggio 2018

Il DNA non c’entra niente

Cari amici di terapia, in questo periodo in cui anche il settore del calcio giovanile non è esente da smanie di calcio mercato, con società che cercano a vicenda di fregarsi i giocatori migliori per la prossima stagione, c’è una domanda che mi assilla. Una domanda importante come quelle che riguardano l’esistenza di Dio o di altre forme di vita nell'universo. Ecco il quesito: perché le società professionistiche sono convinte che se un ragazzo è talentuoso a giocare a pallone automaticamente lo deve essere anche il fratello? 
Se ne prendono uno fanno subito scattare la caccia a eventuali fratelli più piccoli o più grandi che praticano la stessa disciplina. Ho visto società anche famose scannarsi tra loro per accaparrarsi un fratellino, a suon di proposte economiche e uno stile borderline che ricorda gli scontri tra bande di delinquenti per il controllo di un quartiere. 
Se il ragazzo Pinco è molto bravo a giocare a pallone, non è detto che il fratellino Pallo lo sia altrettanto. Salvo che il talento si trasferisca tramite DNA e che ciò sia dimostrato scientificamente, lo spettacolo è grottesco. Bisogna farsene una ragione o cambiare programma. (continua)

giovedì 17 maggio 2018

Uno bravo lo è anche in strada o in oratorio

Ciao, mia chiamo Greg e sono il padre di Luca, un ragazzo di 14 anni che gioca a calcio. Ho fatto un altro giro di boa, l’ennesimo.
 La stagione sta chiudendo i battenti. I genitori sono ridotti a stracci per il pavimento, tra ansie per la prestazione dei figli calciatori, attesa spasmodica di conoscere se il pargolo verrà confermato oppure accettato in una società più prestigiosa, quintali di salamelle e fiumi di birra. Sono infatti le ultime settimane di passione, tra amichevoli e tornei
Dopo si potrà staccare la spina per qualche mese. I più agitati sono quelli che non riescono a stare fermi più di un anno nella stessa società e costringono il figlio “campionissimo” e “mai compreso abbastanza” a cambiare alla fine della stagione. 
Questi poveri papà nel pallone non hanno ancora capito che non serve saltare da un post all’altro come se avessero una molla sotto il sedere, indipendentemente dal prestigio di una società. Ha senso solo se a richiedere un ragazzo è una professionistica. Quando un ragazzo è bravo può essere notato e contattato anche se sta giocando in strada o nel cortile di un oratorio di provincia. A parte i millantatori e truffatori di professione che pullulano nel mondo del calcio giovanile, le società professionistiche, se il ragazzo ha talento, prima o poi si faranno avanti da sole. È poi vero che in ogni cosa serve sempre un pizzico di fortuna. (continua)

mercoledì 9 maggio 2018

La storia di mister Modestino

In questi anni mi è capitato di tutto, ma non nel mondo del calcio giovanile le sorprese non finiscono mai. Mi hanno raccontato di un mister, detto ironicamente “Modestino”, convinto di essere allo stesso livello di Guardiola, Conte, Mourinho o Allegri, pur allenando una squadra di marmocchi nell'estrema periferia romana. 
Un mister coatto, creativo e capace di cambiare tutto ogni settimana, di fissare regole che poi è il primo a non rispettare perdendo di credibilità. Un mister che è certo di fare carriera e che i ragazzini sono esclusivamente il mezzo per raggiungere questo obiettivo. Un mister che fa differenze, emarginando completamente alcuni giocatori che non vede nei suoi disegni astratti di squadra. Un mister che mette un ragazzo contro l’altro, nello spogliatoio e nel campo. 
Un mister che rimprovera, offende, causa disagi piscologici e non incoraggia mai. Insomma, uno a cui dovrebbero vietare di mettere piedi in una società di calcio (e non solo) e soprattutto di affidargli dei ragazzini. Alla prossima seduta.

mercoledì 2 maggio 2018

Sempre più grandi

La stagione volge al termine. E anche nella squadra di mio figlio c’è chi parte e chi arriva. Gli osservatori sono alla costante di ricerca di nuovi giocatori da inserire nelle proprie squadre, possibilmente dotati di un minimo di livello tecnico su cui poter lavorare. 
Più avanti si va, più il gioco si fa duro e bisogna attrezzarsi per essere mediamente competitivi. Ogni giocatore sarà chiamato a fare la sua parte al servizio della squadra, con più professionalità, come maggiore senso di responsabilità
A 12 o a 14 anni, i nostri figli, sono già giocatori dalla stazza imponente e con un discreto bagaglio tecnico. Sul campo non è più come agli esordi. Si lotta, si fanno e si subiscono falli, si gioca con una mentalità diversa. 
Si seguono schemi, si gioca per vincere o comunque per uscire dal campo a testa alta. E i papà nel pallone più recidivi continuano a stazionare nervosamente nelle tribune vedendo i figli crescere sull'erba. (continua)