sabato 27 febbraio 2016

Le batterie di polli

C’è stato un tempo, così mi ha raccontato il vecchietto seduto con me nella panchina, in cui i genitori abbandonavano i figli davanti al cancello della società calcistica, con un panino ripieno di nutella o mortadella per poi ritirarli alla fine dell’allenamento o della partita (quando se lo ricordavano), altrimenti doveva pensarci qualche volontario o il mister a riportarli a casa. Era tutto più semplice e anche più slow. In altre parole, era tutto più genuino. I bambini non avevano ansia da prestazione. Correvano e si divertivano tirando calci al pallone. Ogni tanto arrivava qualche osservatore che spesso selezionava soltanto i ragazzi fisicamente più dotati, i più grossi e alti rispetto alla media. Tanto poi a tentare di farne anche un buon giocatore ci avrebbe pensato la società professionistica di riferimento. Oggi invece è tutto competizione, selezioni su selezioni secondo regole che possono cambiare dal giorno alla notte anche per questioni di censo e raccomandazioni varie, indipendentemente dalle qualità calcistiche individuali. A proposito di selezioni, ci sono quelli che vengono portati avanti solo perché figli di calciatori (anche ex va bene) o fratelli di ragazzi già selezionati dalle professionistiche o ancora di personaggi importanti e influenti.  In ogni modo, molte società dilettantistiche sono diventate delle grandi di batterie di polli. Il motto è: “Seleziona, cresci e vendi” più ragazzi che puoi alle professionistiche. Gli aspiranti calciatori devono dare il massimo già da sei anni, altrimenti sono fuori. Tutto questo è un tantino pazzesco. Alla prossima seduta.

mercoledì 17 febbraio 2016

Nessuna distrazione per i campioni

Rispetto al passato tutto è cambiato. Nel settore del calcio giovanile si scimmiotta quello professionistico degli adulti, soprattutto gli aspetti più negativi. I genitori sono dei pazzi indemoniati convinti di crescere un fuoriclasse. Per questa ragione lo seguono passo dopo passo in ogni momento della sua attività dentro e fuori dal campo. Un futuro campione non può permettersi distrazioni. Deve seguire una alimentazione sana ed equilibrata (e in questo senso ci sono società calcistiche che  forniscono spontaneamente delle diete preconfezionate a dei bimbetti). Devono studiare e limitare altre attività che possono stancare o fare nascere tentazioni, come una banale uscita con gli amici per prendere una cioccolata calda o partecipare a una festa serale. Anche le ragazzine, soprattutto ai primi segnali di tempeste ormonali, devono essere tenute a debita distanza, tanto quando giocheranno in Serie A, potranno avere le donne più belle del mondo (veline, attrici e sante). Il pallone prima di tutto.  (Continua)

martedì 9 febbraio 2016

Il calcio giovanile di una volta

Ciao mi chiamo Greg e sono il papà di un bambino che gioca a calcio. L’altro giorno stavo seduto sulla panchina davanti al campo di allenamento, quando un signore molto anziano mi si è seduto accanto. Abbiamo iniziato a scambiare qualche parola e così ho scoperto che è stato un ex calciatore professionista, poi mister e adesso nonno a tempo pieno. Gli ho raccontato della mia terapia web per sopravvivere nel mondo del calcio giovanile e soprattutto per resistere ai papà nel pallone. Lui si è messo a ridere a crepapelle. Il vecchietto ha detto che molte cose sono cambiate nel tempo, in particolare dalla fine degli Anni Novanta. Il tifo esasperato tipicamente italiano c’è sempre stato anche nelle partitelle dell’oratorio. 
I genitori, però, non seguivano in maniera così assillante e squilibrata l’attività calcistica dei propri pargoli. Agli allenamenti non restava nessuno a guardare ed era perfino un evento eccezionale vederli tutti alle partite. Il mister e i suoi aiutanti in occasione degli incontri dovevano arrangiarsi, ossia trovare le auto necessarie per recuperare ragazzi e borsoni e portarli. Mi ha raccontato di vecchie utilitarie riempite all’inverosimile di ragazzi, palloni e borsoni. E di portabagagli stracarichi come quelli degli automezzi dei nomadi nel deserto. (Continua)

mercoledì 3 febbraio 2016

Genitori divisi in tribù

Filippo ha ragione. Bisogna farsene una ragione e accettare la “terribile” vita di papà nel pallone. Anche se la situazione diventa sempre più pesante, a tratti insopportabile. Se da un lato con la crescita dei ragazzi, il campo attua le sue rigide selezioni naturali, dall’altro l’agonismo, le pressioni, le cattiverie, le aspettative da parte dei genitori aumentano a dismisura. Trend questo che ogni tanto, purtroppo, si riflette negativamente in campo e negli spogliatoi anche tra compagni della stessa squadra. I genitori solitamente si dividono in tante tribù in competizione tra loro e di conseguenza lo dovrebbero essere anche i rispettivi figli. Quando questo accade, però, si rovina tutto. Un solo esempio: in campo la palla viene passata solo tra ragazzi che appartengono alla stessa tribù ignorando chi dovrebbe ricevere naturalmente un passaggio per fare gioco o infilarla in porta. Certo c’è sempre la possibilità di fregarsene, di lasciare il pargolo con il suo borsone davanti al cancello della società e andare via. Occhi che non vedono, cuore che non duole. La scelta drastica potrebbe essere di non seguire più allenamenti e perfino le partite per non avvelenarsi la vita. Ma solo il senso di protezione paterna ti porta ad essere presente, a sopportare. Alla fine, come mi ha detto Filippo, basta prendere atto della situazione, fregarsene un po’ e resistere, resistere, resistere. È tutto per questa seduta. Alla prossima.