martedì 26 febbraio 2013

Creature che scatenano l’inferno


Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. In questa seduta terapeutica vorrei parlarvi di un altro trauma che spesso colpisce il genitore inconsapevole (che è entrato suo malgrado nel mondo del calcio giovanile). Ci sono delle creature di varie forme che si manifestano negli spalti dei centri sportivi, non solo in occasione delle partite. A volte sembrano inoffensive. Nei modi di fare, parlare e vestire. Addirittura ricordano tanto certe perpetue del profondo Nord. Altre invece appaiono subito trasgressive, cloni di star televisive dedite a eccessi. Non fatevi ingannare. Le più pericolose sono sicuramente le prime. Sto parlando delle mamme che seguono i loro pargoli aspiranti calciatori. Le mamme che non si contengono, dicono sempre la parola di troppo e innescano pericolose scintille. Non ha importanza se la categoria è quella dei piccoli amici. Il buonsenso dovrebbe prevalere sempre. Nessuno, per esempio, rischierebbe di accendere un fuoco all'interno di magazzino di esplosivi. Queste mamme lo fanno un attimo dopo il fischio d’inizio di una partita e scatenano l’inferno. (continua)

domenica 24 febbraio 2013

Il Mister Emotivo

Il mister emotivo è quello che vuole rispettare le regole ma non ci riesce. Ragiona più con la pancia che con la testa spesso commettendo degli errori, come fare delle differenze tra i bambini, in occasione degli allenamenti o delle partite. Per esempio, favorire i giocatori più bravi o che lui considera tali. È uno che durante la partita ci tiene così tanto che ogni volta rischia l’infarto. Avete capito che non è facile fare l’allenatore. Il mister è sempre sotto il mirino dei genitori che non sempre hanno ragione, è usato come capro espiatorio dalla società in caso di lamentele e problemi, è retribuito una miseria (spesso la paga non basta neanche a coprire il costo della benzina che spende per le trasferte che deve fare con l’auto privata). Eppure in tanti ci mettono l’anima e instaurano un bellissimo rapporto con i bambini, insegnano loro a crescere, a sviluppare una mentalità di gruppo, insomma a essere dei piccoli ometti. E i genitori? Non avete idea di quello che sono capaci di fare quando seguono un figlio che gioca a pallone. Competizioni, invidie, cattiverie gratuite. E molto altro ancora. Ma adesso sono stanco. Continuerò a raccontarvi le mie disavventure nel mondo del calcio giovanile alla prossima seduta.

venerdì 22 febbraio 2013

Il Mister Matematico

Il matematico è il mister che rapporta tutto al tempo. Spesso non ha un’idea precisa di gioco per i bimbi, degli schemi base da seguire nel corso di un allenamento. Improvvisa e va avanti come capita e quasi per inerzia. Solo quando ci sono le partite manifesta la sua vera natura, diventa più preciso di un orologio svizzero. Bravo o inadeguato, stanco o carico, con capacità motorie o completamente impacciato, per lui non fa differenza. Tutti i giocatori saranno convocati per la partita e avranno garantiti gli stessi minuti di presenza in campo, né un secondo in più, né un secondo in meno. Tutto questo sarebbe corretto, se oltre a non fare differenze sul tempo, il mister insegnasse loro anche qualcosa di concreto. Per esempio: come stare in campo, battere la palla, smarcarsi e fare due passaggi in croce. Sono cose elementari ma nella vita un piccolo amico non si può avere tutto, anche se paga e caro per imparare qualcosa sul gioco del calcio. (continua)

martedì 19 febbraio 2013

Amici piccoli e noiosi

Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Nelle ultime sedute abbiamo parlato di alcuni allenatori che Luca ha avuto alla Soccer Kids. Il punto è che i primi anni sono stati i più difficili anche sotto il profilo dei mister. In teoria il settore dei piccoli amici dovrebbe essere quello più curato e in tutti i sensi, soprattutto tenendo conto dell’età dei bambini e delle loro fragilità fisiche ed evolutive. Invece, la maggioranza delle società amatoriali di calcio se ne frega e anche alla grande. La loro categoria è in assoluto la più bistrattata. La gestione dei piccoli è per molte realtà solo una noiosa incombenza. Ma servono per fare cassa e allora in qualche modo se ne occupano o fanno finta di occuparsene. Ci sono due tipologie standard di allenatore cui vengono affidati e di cui voglio parlarvi: il matematico e l’emotivo. (continua)  

domenica 17 febbraio 2013

Tu sei cattivo, non voglio giocare più!

Alla prima partita il sergente istruttore riesce appena a contenersi anche perché la Soccer Kids vince con un punteggio pieno di 6 a 0. Alla seconda sono sotto di due goal e lui perde il controllo, come sempre. Deve sfogarsi con qualcuno e prende di mira Luca. “Vai avanti. Fermo. Indietro. Gira. Passa. Cambia. Avanti. Indietro. Fermo”. Neanche fosse un giocatore manovrato con il controller della PlayStation. Dopo cinque minuti mio figlio è completamente in tilt. Non riesce più a muoversi autonomamente. Si volta sempre verso l’allenatore per aspettare il suo nuovo comando. Lui gli urla contro con il volto gonfio e rosso per lo sforzo. Luca sembra spaventato e inizia a fare uno sbaglio dopo l’altro. Non è da lui. Vi ricordo che stiamo parlando di un bimbo di sette anni. Il mister dell’altra squadra si avvicina al sergente e gli dice di calmarsi. Lui non la prende bene e inizia anche a bestemmiare. Luca a un certo punto si ferma in mezzo al campo e gli dice: “Tu sei cattivo. Non voglio giocare più”. Il sergente lo afferra per la maglietta e lo strattona bruscamente. “Come ti permetti. Moccioso. Tu fai quello che ti dico io, altrimenti ti prendo a calci nel culo”. Mio figlio è molto orgoglioso e sta facendo di tutto per non scoppiare a piangere. Non ci riesce e si lascia andare e questa cosa lo umilia. Sono sconvolto, riesco a entrare in campo. Sto correndo verso il sergente Hartman con la chiara intenzione di dargli una sonora lezione. Per sua fortuna, mi bloccano in due. Una scena riprovevole, che faccio quasi fatica a raccontarvi ma questa è una terapia. Vengo accompagnato fuori dal campo e calmato dagli altri genitori. Chiedo che mio figlio venga portato nello spogliatoio, che non voglio che continui a giocare sotto la guida di quel pazzo. Tutto questo avviene sotto gli occhi di centinaia di persone. Il sergente Hartman viene prelevato quasi di peso dagli organizzatori del torneo e portato fuori dallo stadio. La squadra viene affidata a uno dei genitori accompagnatori. È l’ultima volta che il sergente allenerà una squadra e per me l’ultima volta che perderò le staffe. Luca è tornato in campo. Lui e gli altri adesso sono più sereni, giocano meglio e si stanno divertendo. Alla fine, la squadra si classifica al terzo posto. I bambini sollevano in aria la coppa e sono felici. Sono sicuro che Luca ha già dimenticato il sergente Hartman. Almeno lo spero. Sono un papà nel pallone. Continuerò a raccontarvi le mie disavventure nel mondo del calcio giovanile alla prossima seduta.

venerdì 15 febbraio 2013

Per favore chiamate la neuro


La squadra è scesa in campo accompagnata dal sergente Hartman. È un torneo impegnativo che prevede per ogni squadra sei partite di 20 minuti ciascuna, divise tra mattina e pomeriggio. La società ospitante è una Scuola Calcio Inter. Tutto è organizzato alla perfezione. In un angolo dello stadio, vicino al campo, è stata già allestita l’area per la premiazione con sopra le coppe per le prime tre classificate e gli scatoloni con dentro le medaglie ricordo per tutti i partecipanti. I bambini della Soccer Kids sono al settimo cielo, carichi di adrenalina. Se non fosse per il loro istruttore, che come al solito sta iniziando a stressarli urlando come un pazzo e gesticolando in maniera convulsa, sarebbe una giornata bellissima. In fase di riscaldamento, lui continua a gridare come un furioso sergente dei Marines: “Più veloci. Scattare. Siete più molli di un budino venuto male. Forza nelle gambe. Correte. Forzaaaaa! Fate veramente schifo!”. Non contento, chiede ai bambini di correre attorno al campo. Alla fine del secondo giro vengono costretti a fare anche degli esercizi molto difficili per la loro età. Non tutti ci riescono e lui urla ancora più forte e con rabbia, quasi con la bava alla bocca. Inevitabilmente, ha attirato l’attenzione di tutte le famiglie che riempiono lo stadio. Qualcuno sta seriamente pensando di chiamare la neuro per farlo portare via o comunque di consigliargli di cambiare spacciatore perché la roba che assume sicuramente non è buona considerando gli effetti collaterali. (continua)

martedì 12 febbraio 2013

Il sergente istruttore Hartman


Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Sono un tossico passivo del pallone per conto terzi. Voglio guarire e stare meglio con il vostro aiuto. Vi ho già raccontato del rapporto non sempre idilliaco che esiste tra genitori e allenatori. Ne ho incontrati molti, alcuni eccellenti e preparati o perché ex calciatori o insegnanti di educazione fisica con almeno un master di istruttore svolto in società di calcio professionistiche. I primi anni, però Luca e la sua squadra della Soccer Kids sono stati seguiti alla carlona, qualche volta quasi affidati al primo che passava vicino al campo di calcio o peggio al bar della società. Una volta gli hanno affibbiato, soprattutto in occasione delle partite e dei tornei, un allenatore mediocre e davvero molto strano: giovane e sempre ben rasato, una voce possente, zero pazienza e un atteggiamento eccessivamente duro, cattivo e arrogante come quello che viene riservato nei film americani alle reclute del corpo dei Marines. Per essere più chiari. Vi ricordate il severissimo sergente istruttore Hartman di Full Metal Jacket? Ecco qualcosa del genere. Soltanto un irresponsabile potrebbe affidare a un simile soggetto, potenzialmente pericoloso per se stesso e la società, un gruppo scalmanato di marmocchi di sette anni che corre dietro a una palla. È per colpa sua che sbagliando ho perso di nuovo le staffe in occasione di un torneo e davanti a centinaia di persone. (continua)

domenica 10 febbraio 2013

Una gelida punizione


L’allenatore si arrabbia perché in tre non stanno seguendo il suo sermone sui giovani e il tempo libero. Decide di punirli e li fa sedere in un angolo del campo sull'erba gelata come gli spinaci a cubetti che trovo nel freezer del supermercato sotto casa. La cosa non mi piace ma meglio non intromettersi con le decisioni del mister. Passano 5 minuti, poi, dieci e poi un altro quarto d’ora e restano ancora in punizione. Luca oramai ha la faccia bianca cadaverica per il freddo. Un suo compagno inizia a starnutire e il terzo seduto sull'erba sta tremando come una foglia. A me iniziano a gonfiarsi le giugulari e tutti i muscoli del corpo. Mentre mi trasformo, varco un cancello fino a ritrovarmi faccia a faccia con l’allenatore. Lui ha paura. Ha davanti un papà verde, grosso e incazzato. Non mi rendo conto ma sto urlando: “Brutto imbecille! Come fai a lasciare con questo freddo i bambini per 30 minuti immobili seduti sull'erba?”. Lui tenta di giustificarsi e balbettando: “Sono passati solo cinque minuti e poi è una punizione che serve a responsabilizzarli”. Mi gonfio ancora, oramai sono la versione molto cattiva di Hulk: “Responsabilizzare che cosa? Non puoi lasciarli a congelare così. Idiota. Se poi si ammalano, sono fatti nostri, di noi genitori. A te che cosa importa. Se devi punirli, puoi farlo in un modo più intelligente ed educativo: li mandi diritto nello spogliatoio, gli chiedi di fare tre giri di campo o non li convochi per la prossima partita. Hai capito? Mi auguro per te che mio figlio non si prenda malanni. Guarda come stanno tremando”. A questo punto intervengono anche gli altri genitori presenti. Si sono trasformati e urlano anche loro. Sono dalla mia parte. Io che invece sto tornando alla ragione mi vergogno da morire per aver perso la pazienza. Dopo cinque minuti arrivano tutti. Responsabili tecnici, segretari, nonne, mamme e anche la guardia nazionale. È diventato un affare di Stato. All'allenamento successivo Luca è in campo, gli altri due che erano stati puniti come lui e lasciati al gelo invece sono a letto con la febbre alta. In segreteria ci sono i loro genitori che chiedono conto e ragione. Il Santo viene subito convocato dal presidente della Soccer Kids e cacciato via. Mi dispiace per lui, ma nella vita ci vuole un po’ di buon senso, soprattutto con i bambini. Sono un papà nel pallone. Continuerò a raccontarvi questa storia alla prossima seduta.

venerdì 8 febbraio 2013

Il Santo, l'allenatore predicatore


È un freddo pomeriggio invernale. Il termometro del bar della scuola calcio Soccer Kids segna – 2°. Luca e gli altri bambini sono in campo. Si stanno allenando. Indossano anche felpa, scalda collo, maglia termica e scaldamuscoli. Si vedono appena solo quando passano vicino la tribuna. La nebbia avvolge tutto e come il nonno del film Amarcord di Federico Fellini rifletto e mi chiedo: “Dov'è che sono? Mi sembra di stare in nessun posto”. Oggi sono allenati da un tipo che noi genitori chiamiamo il Santo perché usa gran parte dei 90 minuti a disposizione per fare prediche. È un classico tipo da oratorio, capitato per caso e forse anche un po’ controvoglia ad allenare a turno con altri la squadra di Luca. Il pallone sembra quasi infastidirlo. Non gli interessa nulla della temperatura polare. Tiene i bambini fermi all'addiaccio per sessioni di 15 – 20 minuti in cui parla di tutto, tranne che del calcio e delle relative tecniche. È un bravo ragazzo ma un po’ pesante. Infatti, Luca e altri due bambini iniziano a spazientirsi. Loro vogliono correre dietro al pallone e magari imparare qualcosa. Io invece voglio capire che cosa sta succedendo. Mi attacco alla rete di protezione che mi separa dal campo e adesso riesco anche a distinguerli. (continua)

martedì 5 febbraio 2013

Occhio che non vede, cuore che non duole


Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Sto provando a disintossicarmi con questa terapia di gruppo e spero tanto che funzioni. Oggi vi voglio parlare dei momenti di collera nel mondo del calcio giovanile. Ci sono delle volte in cui si perde la pazienza. Anzi si diventa verdi per la rabbia. Genitori che, come il dottor Banner quando si trasforma in Hulk, si gonfiano a dismisura facendo esplodere vestiti e giugulari. Succede, a volte per motivi futili, altre volte per cose molto serie. La mia prima trasformazione è avvenuta durante un allenamento. A chi entra in questo tunnel del calcio giovanile consiglio vivamente di lasciare il figlio al campo per l’allenamento e poi scappare subito via perché “occhio che non vede, cuore che non duole”. Restare è, infatti, pericoloso, si potrebbe assistere a cose terribili che innescano la trasformazione di un padre tranquillo in un omone verde e incazzato. (continua)

domenica 3 febbraio 2013

Calcio, business e cantera nostrana


Esistono anche dei professionisti che si occupano di scouting per una o più società di calcio. Seguono ogni anno centinaia di partite e tornei, battendo il territorio palmo a palmo, per scovare dei potenziali talenti. Alcuni sono seri, altri meno. A mio figlio è accaduto diverse volte di essere finito nel loro mirino. Sono ancora convinto di avere un marmocchio che prende a calci una palla nel tempo libero e poi ci sono personaggi sconosciuti che mi chiamano a casa per chiedermi se sono interessato a fare provare Luca in una delle loro società (più o meno blasonate). All'inizio, in caso di impressioni positive, portavo il bambino senza impegno a questi allenamenti extra ma poi mi sono reso conto che queste cose non servono a una mazza. Ci sono tanti bambini bravi con buone potenzialità. Sono, però troppo piccoli e dovranno calpestare ancora tanta erba, sempre se continueranno a giocare a pallone. E poi spesso le doti non bastano, a parte il caso di chi sin dalla tenera età si manifesta come un fenomeno extraterrestre. Ho poi visto che, per inspiegabili misteri italici, piccoli giocatori non dotati finiscono a giocare (quando vogliono loro) perfino nelle giovanili di società professionistiche. Tradotto: anche per dei marmocchi qualcuno ricorre alla raccomandazione, all'amico dell’amico o comunque sfrutta la sua posizione lavorativa di prestigio. Non ha importanza se il figlio è poco brillante, poi tanto una società attrezzata riesce a modellarlo a dovere (salvo che sia un brocco irrecuperabile). Vi rendete conto? Queste situazioni sono diventate la normalità. Non accadano a giocatori adolescenti, bensì riguardano già marmocchi di sei anni. E tutto questo, tossico passivo o attivo del pallone, mi preoccupa. Non sarebbe una brutta cosa se questa attenzione sui bambini fosse finalizzata a copiare la cantera blaugrana del Barcellona, una vera fucina di talenti in erba. In Italia, le scuole calcio sono soprattutto business. Le società preferiscono importare dall'estero i potenziali giovani campioni, anche se adesso dovranno fare i conti con la crisi economica che non risparmia nessuno. Sono un papà nel pallone. Continuerò a raccontarvi questa storia alla prossima seduta.