Luca gioca a fare il duro ma forse si lega troppo ai colori della squadra e ai suoi compagni. Ci tiene veramente. Non so dirvi se è un bene o se è un male. Quando lo scorso anno un suo compagno di squadra con cui ha giocato per 4 anni di fila ha lasciato la squadra per seguire la famiglia all'estero, mi ha fatto tanta tenerezza. Durante i saluti alla festa organizzata per l’occasione si è comportato normalmente, sorridendo e scherzando con tutti. Non appena siamo entrati in macchina per andare via, ha tirato in alto il colletto della giacca per nascondere le lacrime. È fatto così. Deve ancora abituarsi all'idea che da una stagione all'altra possono cambiare squadra e società, può cambiare veramente tutto. Ogni anno c’è chi resta e c’è chi parte, bisogna farsene una ragione. Altri suoi compagni che nel tempo sono andati altrove non hanno tradito alcuna emozione. Forse è meglio così. In fondo pensando alla Serie A, quanti sono i giocatori professionisti che ogni anno cambiano la squadra e all'inizio della stagione dichiarano spudoratamente sempre la stessa cosa: “Questa è la maglia che ho sempre sognato indossare”. (Continua)
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mercoledì 2 dicembre 2015
martedì 24 novembre 2015
C’è chi viene e c'è chi va
Ciao mi chiamo Greg e sono il papà di un bambino che gioca a calcio. Sono trascorsi sei anni da quando Luca ha iniziato a tirare calci al pallone. Si sono incrociate molte vite e molte storie. E inizio a non ricordare più tutti. Ogni anno, anche quando si rimane nella stessa società, le formazioni si rinnovano, si perde per strada qualche ragazzo perché ha deciso di cambiare, di smettere o ancora è stato cortesemente invitato ad andarsene. Ne arrivano dei nuovi con la propria chiassosa ciurma di sostenitori: genitori, nonni, zii e perfino vicini di casa. La bellezza del calcio giovanile è che ti fa incontrare tanti genitori, alcuni diversamente simpatici, altri con cui si innescano spontaneamente grandi amicizie. Non sempre però durano nel tempo, soprattutto a causa di forze maggiori. Luca, per esempio, aveva legato in particolare con tre suoi compagni di squadra che adesso non sono più in squadra: uno ha cambiato società e due si sono trasferiti altrove e precisamente in Germania e in America. Le loro famiglie per motivi di lavoro si sono dovute trasferire all'estero, sono emigrate. I social aiutano a mantenersi in contatto, a scambiare ricordi e nuovi momenti di vita ma non è la stessa cosa. Non si è più insieme campo dopo campo per i 10 mesi che dura una stagione calcistica. Non si è più insieme a condividere emozioni, birre e salamelle. Ma i contatti si perdono anche quando un ragazzo si trasferisce in un’altra società calcistica della stessa città. È inevitabile, si entra in un altro girone infernale che detta tempi e regole con nuovi ragazzi, dirigenti e genitori. (continua)
mercoledì 15 luglio 2015
La selezione naturale nel calcio
Finita la stagione, per circa 30 giorni, giocatori e rispettivi genitori restano nella spasmodica attesa di conoscere il proprio destino, la conferma o l’eventuale esclusione dalla squadra. Tutti sono consapevoli del fatto che il proprio pargolo potrebbe essere mandato via, per fare spazio ad altri giocatori che la società ha individuato altrove tramite chi si occupa di scouting e poi reclutato. A volte non basta per un ragazzo avere giocato bene, perché se arriva un giocatore che per i tecnici è più bravo di lui, è fatto fuori senza troppi giri di parole. Punto e basta! È la legge della selezione naturale nel calcio, anche se non estranea a qualche margine di errore. A volte il presunto fenomeno che è entrato in squadra facendo saltare qualcuno, potrebbe poi rilevarsi nel tempo non all’altezza delle aspettative. Evitare questo dipende dal grado di competenze del comparto tecnico. Ora immaginate la pressione cui sono sottoposti i calciatori in piena fase di preadolescenza? Un anno di fatiche e sudore dietro al pallone per poi a fine stagione correre il rischio di non essere confermati. Gli esperti spiegano che così va anche nel mondo del calcio giovanile. (continua)
venerdì 29 marzo 2013
Come finisce l’amore per il calcio
Il papà di Yuri è molto pittoresco soprattutto durante le partite. Lino, infatti, si appende alla rete e urla a squarciagola dal primo all'ultimo secondo dell’incontro. Quando qualcuno ha provato gentilmente a chiedergli di moderarsi è stato malamente sollevato in aria come un fuscello, agitato e buttato da parte. Noi ci vergogniamo un po’ e cerchiamo di starne a distanza ma non sempre è possibile e poi il suo Yuri gioca in squadra con i nostri ragazzi.
Il bambino a differenza del padre ha modi molti gentili e un viso angelico. Sicuramente avrà preso dalla madre. Io non l’ho vista. Mi dicono che sia venuta solo una volta agli allenamenti accompagnata da una scorta di 5 marmocchi molto vivaci. A Lino probabilmente non hanno spiegato che esistono i contraccettivi.
Tornando al pallone questo genitore condiziona, soffoca e confonde molto il figlio urlandogli ordini di gioco durante le partite. È veramente insopportabile. Il bambino reagisce male e invece di crescere continua a regredire provocando le ire di Lino. Potrebbe essere un buon centrale nel gioco ma è evidente che oramai per colpa del padre si è disinnamorato del calcio. Gioca solo per farlo contento. Non si diverte più. (continua)
domenica 24 marzo 2013
Quelli che mio figlio è un campione
Vi raccontavo dei genitori che legano fra loro e altri che invece alimentano contrasti, invidie e antipatie. C’è il papà a cui non interessa niente di quello che succede in campo. Il figlio potrebbe fare danza classica o pugilato. Non fa differenza. Questo genitore è quasi invisibile. Lo si vede soltanto all'inizio e alla fine degli allenamenti. Difficilmente scambia una parola con altri genitori, perfino quando ci sono le partite resta zitto e in disparte. L’importante per lui è solo impegnare il pupo fuori di casa per qualche ora, due volte la settimana, in modo da poter sbrigare altre faccende con più libertà. Poi c’è il papà ultra tifoso che crede (o spera) di avere un figlio campione, un marmocchio che ha cresciuto esclusivamente a pane e partite. È il più pericoloso di tutti perché spesso con un comportamento esagitato e battutacce genera dissapori nel gruppo dei genitori. Se, indipendentemente dall'esito della partita, suo figlio gioca bene e segna qualche goal, la Soccer Kids è la migliore squadra del mondo. Se al bimbo capitano due o più giornate negative o scopre “drammaticamente” che non è portato per il pallone, inizia a lamentarsi urlando che tutta la squadra fa schifo (e soprattutto per colpa del cattivo gioco dei figli degli altri). E infine c’è il papà razionale, magari anche con la passione del calcio che ha trasmesso al figlio (nel mio caso è accaduto l’inverso), ma sempre con i piedi per terra. Lui riesce a vedere le cose per quello che sono: bambini bravi e meno bravi che giocano, si divertono e imparano (se ci sono i presupposti) a diventare dei potenziali baby calciatori. Adesso sono stanco. Continuerò a raccontarvi queste storie alla prossima seduta.
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venerdì 22 febbraio 2013
Il Mister Matematico
Il matematico è il mister che rapporta tutto al tempo. Spesso non ha un’idea precisa di gioco per i bimbi, degli schemi base da seguire nel corso di un allenamento. Improvvisa e va avanti come capita e quasi per inerzia. Solo quando ci sono le partite manifesta la sua vera natura, diventa più preciso di un orologio svizzero. Bravo o inadeguato, stanco o carico, con capacità motorie o completamente impacciato, per lui non fa differenza. Tutti i giocatori saranno convocati per la partita e avranno garantiti gli stessi minuti di presenza in campo, né un secondo in più, né un secondo in meno. Tutto questo sarebbe corretto, se oltre a non fare differenze sul tempo, il mister insegnasse loro anche qualcosa di concreto. Per esempio: come stare in campo, battere la palla, smarcarsi e fare due passaggi in croce. Sono cose elementari ma nella vita un piccolo amico non si può avere tutto, anche se paga e caro per imparare qualcosa sul gioco del calcio. (continua)
martedì 5 febbraio 2013
Occhio che non vede, cuore che non duole
giovedì 31 gennaio 2013
L’uomo che guarda nel parco
Luca riesce a studiare con buon profitto e a seguire un’attività sportiva impegnativa come quella del calcio. Vi raccontavo che la maledetta sfera oramai mi segue ovunque: perfino nei parchi pubblici della città. Mio figlio trova sempre qualcuno con cui improvvisare una partita. E così, allenamenti e partite ufficiali a parte, ti ritrovi a sorbirti anche degli extra, a guardare, seduto sulla panchina come un pensionato, dei ragazzetti di tutte le età e di tutti i colori del mondo che corrono dietro a un pallone. Non manca poi l’osservatore improvvisato, l’uomo che guarda nel parco, il classico tipo che con fare quasi professionale chiede chi è il figlio di chi per esprimere dei suoi giudizi ed elargire consigli. “Quello con la felpa blu è suo figlio? È molto bravo. Gioca in qualche squadra? Se non ci gioca dovrebbe farlo. Io conosco una persona del settore che potrebbe dargli un’occhiata e segnalarlo a chi di dovere. Le interessa?”. Una storia che ho imparato a sentire tante volte e che comunque conferma che effettivamente il bambino si fa notare, ma almeno nel parco vorrei essere lasciato in pace. Non è un campione, forse lo diventerà, chissà. È solo un bambino che magari tra qualche anno vorrà fare boxe o danza classica o nuoto. Nessuno può saperlo. Alla tua mente, da tossico passivo del pallone, però, scatta in automatico un solo pensiero: “Speriamo che alla fine qualche vero osservatore lo trovi interessante sul campo”. (continua)
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domenica 27 gennaio 2013
L’unica cosa che conta
L’esperienza è fondamentale per sopravvivere nel mondo del calcio giovanile. Ho imparato molte cose strada facendo, campo dopo campo, partita dopo partita. Ho iniziato a raccogliere informazioni, a documentarmi per capirne di più. Visto che sono completamente assorbito da questa cosa meglio non farsi più cogliere impreparati. Non è vero quello che ti dicono. Non è vero che la cosa più importante è fare divertire i bambini. Ho scoperto subito che l’unica cosa che conta è vincere ma anche fare business spesso lucrando sui sogni di aspiranti calciatori professionisti e delle loro famiglie. Ho capito subito che, indipendentemente dai progressi di Luca, dovrò sempre guardarmi attorno. Tornando ai costi ho scoperto che ci sono società più serie e selettive, dove almeno sono chiari sin dall’inizio: chiedono una cifra complessiva di circa 500 euro per un anno (che per fortuna si possono pagare anche in due o più rate) e ti dicono subito se è meglio orientare il bambino verso un altro sport o comunque verso società di calcio meno competitive. Tutto questo fa parte del pacchetto. Riuscirò a superare questa dipendenza. Sono un papà nel pallone. Continuerò a raccontarvi questa storia alla prossima seduta.
mercoledì 9 gennaio 2013
Parte 3 - La rivelazione
Adesso ascoltatemi bene. Al secondo anno la situazione è peggiorata. Sto seduto tranquillo ad aspettarlo nello spogliatoio. A un certo punto entra l'allenatore e chiede a voce alta: "Chi è il padre di Luca?". Salto in aria e subito rispondo alzando la mano come a scuola: "Sono io, è successo qualcosa al bambino?”. Nello spogliatoio scende il silenzio, tutti gli altri genitori hanno gli occhi puntati su di me. Premessa: di solito durante l'attesa leggo un giornale, loro invece esaltano le doti calcistiche dei bambini come se fossero campioni del mondo in provetta. Torniamo all'allenatore. Mi poggia una mano sulla spalla e dice a voce alta: "Suo figlio è sprecato per il minicalcetto. È molto dotato. Ha talento, lo iscriva subito a una società calcistica anche se è ancora piccolo. Non perda tempo, mi creda". Rimango zitto anche se in mente mi ripeto: "Ma come? Ma quando? Ma che cazzo!". Mi riprendo e rispondo: "Bene, grazie. Valuterò cosa fare". Sono uscito dallo spogliatoio rosso in faccia e anche un po' sudato perché gli altri genitori hanno iniziato a guardarmi come se avessi compiuto atti osceni in luogo pubblico. Invece, di essere contento sono stato assalito da mille pensieri. (continua)
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