Ci sono genitori e allenatori che vedono i baby calciatori come infallibili macchine da guerra del pallone da schierare in campo con la certezza di vincere ogni partita. L’assurdo è che persino Lionel Messi o Cristiano Ronaldo possono sbagliare un passaggio o un tiro, anche se invero succede raramente. Invece, a un ragazzino di 10 anni che sbaglia non si perdona nulla. E così se fino all’altro ieri per lui si sprecavano tutti in complimenti, al primo errore è automaticamente collocato al livello schiappa. Dalle stelle alle stalle, da promettente calciatore che traina la squadra a totale incapace che rallenta il gioco e impedisce ai compagni di avere il giusto ritmo di gara. Un fenomeno questo che in campo può colpire senza pietà qualsiasi giocatore, dal portiere al difensore, dal centrale all'attaccante. (continua)
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lunedì 13 aprile 2015
lunedì 14 aprile 2014
Solo squadre A, il resto è fuffa
Nelle società di calcio giovanile l’attenzione è tutta per le squadre A. Le altre possono vincere, perdere, giocare male o bene. Quello che fanno tanto non interessa a nessuno. Alcune realtà, invero, per evitare differenze riducono per ogni annata le squadre a un numero massimo di due formazioni rinunciando a maggiori incassi con le iscrizioni, ma di fatto le differenze di trattamento tra le squadre persistono e per assurdo in questi casi sono addirittura più evidenti. Se per esempio, una società di calcio ha solo due squadre per la categoria 2002, vuol dire che ha fatto una selezione ma anche che al 99% ha formato una squadra (la A) di soli elementi bravi e l’altra (la B) di giocatori altrettanto talentuosi ma con qualcuno con minori capacità. Il risultato è che la prima squadra è messa nella condizione ottimale per crescere, mentre la seconda parte svantaggiata. Non sarebbe meglio per una società avere due squadri forti dello stesso livello? Meglio poi evitare di addentrarsi in quei strani meccanismi che portano dei ragazzini non dotati nelle squadre A o addirittura in squadre professioniste. Questi forse sono misteri del calcio giovanile, inspiegabili per i profani. Non sempre, infatti, certe politiche sono comprensibili per i genitori ma sicuramente le società avranno le loro valide ragioni per compiere certe scelte. Basta, sono stanco. Sono un papà nel pallone. Vi racconterò altre avventure alla prossima seduta.
lunedì 24 febbraio 2014
Non si investe sui giovani
Il problema dei giovani talenti italiani è che non sono adeguatamente valorizzati. Lo ha sostenuto pubblicamente perfino un personaggio del calibro di Arrigo Sacchi, attuale coordinatore tecnico delle nazionali azzurre.
Ci sono tanti giovani promettenti ma si investe poco a differenza di quanto avviene all’estero. Non vengono aiutati a crescere e chi ci riesce è spesso per merito di volontari che hanno una grande passione per il calcio. Le squadre continuano ad essere imbottite di stranieri. (Continua)
mercoledì 19 febbraio 2014
Professionista lo diventa uno su 30 mila
Ciao mi chiamo Greg e sono il papà di un bambino che gioca a calcio. Con il passare del tempo mi rendo conto che emergere per un ragazzino è davvero difficile.
I numeri come sempre sono freddi e sentenziano che mediamente un solo bambino ogni 30 mila riesce a diventare un calciatore professionista.
Non è un dramma se questa attività, sempre impegnativa per prole e genitori resta tale, cioè una disciplina sportiva che occupa uno spazio importante nel processo di crescita ma non fondamentale. Ma è anche vero che più un bambino va avanti e migliora più si insinua nella mente del genitore il pensiero che forse potrebbe farcela. (Continua)
martedì 15 ottobre 2013
Granitiche certezze
Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. La stagione è iniziata e già non mi sento bene. La Soccer Kids ha deciso di investire di più nel settore giovanile ma anche di rendere più rigidi i criteri di selezione dei piccoli atleti. Tutto questo dovrebbe servire a formare progressivamente delle squadre più competitive. Il discorso fila ed è in parte condivisibile. Resta il problema di fondo dei genitori, della ricerca di un metodo efficace per tenere a bada l’esaltazione eccessiva di uomini maturi che vedono nel proprio pargolo un futuro campione del calcio italiano. Non hanno dubbi, solo granitiche certezze. Non oso pensare come reagiranno quando questi sogni crolleranno come castelli di sabbia, come spesso accade nella realtà. Il problema è che a volte con le loro esternazioni (ai confini della realtà) diventano pesanti, come un polpettone della domenica che non si riesce a digerire. (continua)
venerdì 5 aprile 2013
La spintarella nel pallone
Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Ricordo una settimana molto grottesca in cui il piccolo Luca era diventato oggetto del desiderio di diverse società. Immagino cosa state pensando: come si fa a contendere un bambino di sette anni che corre dietro una palla?
Non sono rimasto felice per questa situazione. Mio figlio non è un fenomeno. In ogni modo, più tempo passa più comprendo che anche nel calcio diventa molto relativo essere bravo o averne tutte le potenzialità per diventarlo. Tradotto: fioccano le raccomandazioni. C’è chi riceve qualche calcio (non al pallone ovviamente) sin dalla categoria piccoli amici. Ci sono padri ricchi e influenti pronti a tutto per dare più opportunità ai loro figli nel dorato mondo del pallone.
Agli altri, i figli di persone normali, per emergere non resta che essere dei fenomeni o se promettenti sperare in un pizzico di fortuna. Questa è l’Italia bellezza! E voi non ci potete fare niente. (continua)
domenica 24 marzo 2013
Quelli che mio figlio è un campione
Vi raccontavo dei genitori che legano fra loro e altri che invece alimentano contrasti, invidie e antipatie. C’è il papà a cui non interessa niente di quello che succede in campo. Il figlio potrebbe fare danza classica o pugilato. Non fa differenza. Questo genitore è quasi invisibile. Lo si vede soltanto all'inizio e alla fine degli allenamenti. Difficilmente scambia una parola con altri genitori, perfino quando ci sono le partite resta zitto e in disparte. L’importante per lui è solo impegnare il pupo fuori di casa per qualche ora, due volte la settimana, in modo da poter sbrigare altre faccende con più libertà. Poi c’è il papà ultra tifoso che crede (o spera) di avere un figlio campione, un marmocchio che ha cresciuto esclusivamente a pane e partite. È il più pericoloso di tutti perché spesso con un comportamento esagitato e battutacce genera dissapori nel gruppo dei genitori. Se, indipendentemente dall'esito della partita, suo figlio gioca bene e segna qualche goal, la Soccer Kids è la migliore squadra del mondo. Se al bimbo capitano due o più giornate negative o scopre “drammaticamente” che non è portato per il pallone, inizia a lamentarsi urlando che tutta la squadra fa schifo (e soprattutto per colpa del cattivo gioco dei figli degli altri). E infine c’è il papà razionale, magari anche con la passione del calcio che ha trasmesso al figlio (nel mio caso è accaduto l’inverso), ma sempre con i piedi per terra. Lui riesce a vedere le cose per quello che sono: bambini bravi e meno bravi che giocano, si divertono e imparano (se ci sono i presupposti) a diventare dei potenziali baby calciatori. Adesso sono stanco. Continuerò a raccontarvi queste storie alla prossima seduta.
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