mercoledì 29 novembre 2017

Indignazione non significa rivoluzione

Dopo l’esclusione della nazionale di calcio dai mondiali in Russia, si è sentito di tutto, di più. È cresciuta l’indignazione popolare contro i responsabili della debacle. Le cause partono da lontano, basti pensare alla figuraccia all'ultimo mondiale in Africa. 
Nonostante le avvisaglie, la nazionale è stata lasciata precipitare nel burrone. L’importante è mantenere le poltrone, le piccole e grandi posizioni di potere che nel mondo del calcio, a partire da quello giovanile, danno da mangiare a tanti. Un business senza scrupoli che, purtroppo, ha penalizzato talenti. 
Niente di nuovo ma ora sono tutti indignati: all'italiano puoi togliere le mutande, il lavoro, la dignità, insidiare la moglie ma guai a toccare il pallone. Ecco perché l’esclusione dal mondiale è stata sentita dal popolo e descritta anche dai mass media come una sciagura, una catastrofe, un inequivocabile segno dell’apocalisse. 
Ma sentendo anche gli altri papà della Soccer Kids, società dove gioca mio figlio, a parte l’indignazione nessuno protesterà in piazza o davanti alla sede della Federcalcio. Per avere un minimo di reazione popolare e veramente cazzuta, il fantastico mondo del calcio si dovrebbe fermare completamente, dalla squadra dell’oratorio a quella di Serie A. Allora sì che scoppierebbe la rivoluzione. 
Adesso è impossibile, hanno tolto i mondiali ma c’è tutto il resto a cui aggrapparsi per continuare a drogarsi di calcio. (continua)

mercoledì 22 novembre 2017

Alleniamo da piccoli i giocatori delle nazionali straniere

Cari amici di terapia, sono il papà di un ragazzo che gioca a calcio. Nella vita ci sono cose più importanti del calcio, che comunque resta lo sport più popolare del pianeta. Per il resto il problema è complesso. Sul rilancio del calcio giovanile e il deleterio eccesso di stranieri dalle giovanili, tutto si è fermato alla becera strumentalizzazione politica. 

Il sistema del calcio italiano, analogamente ad altri settori, è segnato in negativo da una classe dirigente non sempre all'altezza. Da qualche anno autorevoli personaggi del mondo dello sport hanno sollevato un problema che, se fosse affrontato con il giusto approccio; potrebbe aprire la strada a delle importanti riflessioni sul calcio italiano

Uno dei principali problemi è il difficile ricambio generazionale, nonostante il territorio nazionale pulluli di società calcistiche dilettantistiche e professionistiche. Il bimbo (o la bimba) possono iniziare a fare calcio sin dalla tenera età di 5 - 6 anni (una volta si iniziava più tardi), per poi finire (se va bene) parcheggiato (quando si ha talento o per restare in tema tramite un calcio nel sedere) nel vivaio di qualche importante società calcistica. I ragazzini sono un business per molti. Dicono che solo un bambino ogni 10 mila riesce a diventare un giocatore professionista. 

L’apparato del calcio e le società italiane, a differenza della Spagna che lo sta facendo da anni con ottimi risultati dimostrati dai numeri e dalle vittorie in tutte le competizioni, non investono sulla “cantera”, sui vivai. Non gli interessa formare, fare crescere ragazzini da inserire nelle professionistiche ai diversi livelli. 

Sempre per motivi di business, le società preferiscono pescare giocatori giovanissimi da tutte le parti del mondo, dall'Africa, dall'Est Europa ma anche dal Nord Europa. Per fare cosa? Investire su di loro, formarli e poi venderli. Potrebbe anche essere una scelta “imprenditoriale” sensata, ma oramai puntano quasi tutto sugli stranieri. 

I vivai ne sono pieni. I ragazzini italiani (o comunque nati in Italia) sono in nettissima minoranza. Le loro possibilità di crescere, di dimostrare il proprio talento sono davvero ridotte al lumicino. Il sogno di arrivare alle professionistiche più alte, Serie A e Serie B, è impossibile. Con la mentalità e la gestione degli ultimi anni, un nuovo Pirlo, Totti, Del Piero o Buffon, rischierebbe di restare fuori dal circuito del professionismo. Nella Serie A, la larga maggioranza della rosa è composta da giocatori stranieri (francesi, inglesi, argentini, nordafricani…). 

Come giustamente è stato detto, i club italiani di fatto oramai allenano e formano i futuri giocatori delle nazionali straniere. In questo modo, sarà sempre più difficile trovare dei nuovi campioni italiani da inserire nella nazionale e nelle società professionistiche. Imitando gli spagnoli invece si dovrebbe tornare a investire di più e con serietà sui giovani italiani per rilanciare il settore, per tornare ad avere anche una nazionale forte e credibile. Lo stanno denunciando da più parti ma quando se ne parla accade solo per becere strumentalizzazioni politiche, come d'altronde accade per ogni altro argomento. (continua)

mercoledì 15 novembre 2017

Esiste anche la terza via

Ogni mister ha una propria idea di calcio. Un bambino ha il diritto di essere circondato e allenato da persone preparate, come ricorda la stessa FIGC. 
Il punto è che ci sono società dove, indipendentemente dalle inclinazioni personali, ogni allenatore è rigidamente tenuto a rispettare un programma di allenamento, statistiche e perfino le indicazioni su come relazionarsi con i ragazzi e i genitori. Forse è una scelta un po’ esagerata, ma spesso serve a tenere meglio la situazione sotto controllo, soprattutto quando in una squadra ci sono tanti papà nel pallone, pronti a creare 1000 problemi alla prima occasione. 
In altre società invece ogni mister è libero di fare quello che vuole e di comportarsi come ritiene più opportuno. Viva la libertà, ma in questo modo ogni situazione può degenerare con estrema facilità. Allora che cosa si dovrebbe fare? 
Esiste sempre la terza via. Come sempre la verità sta in mezzo: non bisognerebbe essere eccessivamente rigidi ma neanche troppo permissivi. Insomma, una via di mezzo. Il mondo non è tutto bianco o tutto nero, ci sono in mezzo tante sfumature. In questo senso l’inserimento di esperti educatori e formatori per grandi e piccini nelle società di calcio giovanile potrebbero essere di aiuto. Alla prossima seduta.

giovedì 9 novembre 2017

Figli e figliastri nel calcio giovanile

È inutile negarlo, fare finta di niente, girarsi dall'altra parte, mettere la testa sotto la sabbia. Nel cuore di ogni mister c’è sempre un pupillo o un gruppo ristretto di prediletti. Sono i baciati dalla Dea bendata, coloro che indipendentemente dalle condizioni fisiche e dal comportamento, saranno sempre in campo possibilmente dal primo all'ultimo minuto di ogni partita. In gergo si dice che ci sono ragazzi che il mister non vede e quelli che invece vede benissimo, quelli che a suo avviso sono insostituibili. 

Nel calcio giovanile non vale la massima tutti sono utili, nessuno è indispensabile. Il cruccio settimanale di ogni genitore è la benedetta convocazione alla partita di campionato. La mente viene divorata da mille pensieri che si agitano come i tentacoli di una piovra e che la notte non fanno dormire. Ogni genitore si chiede: mio figlio sarà convocato? Giocherà o resterà in panchina? In che posizione lo metterà questa volta? Pioverà o ci sarà il sole? Qual è il terzo segreto di Fatima? Dio esiste? 

Paturnie a parte, è impossibile fare previsioni. Non conta nulla per i ragazzi essere puntuali ed educati, non perdere mai un allenamento, avere perfino del talento. I prediletti vengono prima di tutto quando si preparano le convocazioni, gli altri seguono a rotazione. 

Ci sono mister che adottano questo criterio con classe, lo motivano e quasi te la danno a bere. Altri invece sono spudorati e mettono in campo il loro pupillo anche quando non è in forma, si è comportato malissimo o addirittura è reduce da una debilitante malattia o peggio ha ancora i postumi di un infortunio. Ho visto mister tenere in campo per tutta la partita, il proprio pupillo anche quando zoppicava vistosamente a causa di un contrasto o di un precedente infortunio. È vero. 

L’Italia non è un paese fondato sulla meritocrazia, ma a volte basterebbe solo un pochino di buon senso. (continua)

mercoledì 1 novembre 2017

Adulti, state troppo male

Cari amici di terapia, sono il papà di un ragazzo che gioca a calcio. Alti e bassi sono una costante in questo mondo e non faccio riferimento all'andamento del campionato, ma agli equilibri emotivi tra gli adulti. 
I ragazzi come sempre si arrangiano da soli. A loro basta tirare calci al pallone, farsi due risate nello spogliatoio e sono contenti. Il dark side del calcio giovanile è sempre quello rappresentato dagli adulti, siano essi i genitori, dirigenti sportivi o gli allenatori. 
I periodi di serenità sono l’eccezione, in un mondo dove gli eccessi comportamentali degli adulti la fanno da padrona. Anche adesso che i ragazzi sono cresciuti e spesso in altezza hanno ampiamente staccato i genitori, c’è sempre una mamma apprensiva e invadente o un papà grande esperto di strategie di gioco e dei misteri della vita, che deve fare le pulci su ogni cosa: dalla formazione alle tecniche di allenamento; dal ruolo dei singoli calciatori all'alimentazione sostenibile; dal colore dei fazzoletti di carta del mister alle condizioni meteorologiche. Il loro figlio casualmente è sempre quello perfetto che fornisce un apporto determinante alla squadra. Quando lui è in campo si ha a prescindere la migliore delle formazioni possibili e si vincono tutte le partite. 
Come se non bastasse, poi ci sono mister malati di protagonismo o di grande creatività, quelli che dicono Arrigo Sacchi “me lo magno” a colazione e Antonio Conte a merenda. 
E i dirigenti? Dovrebbero fare da ponte tra ragazzi, allenatori, società e genitori e, come nelle missioni dell’ONU, essere a prescindere portatori di pace con il ramoscello di ulivo in bocca. Invece, spesso tra i denti hanno il coltello e nelle mani una tanica di benzina pronta per incendiare ulteriormente situazioni già critiche. È un circo, uno spaccato sociale dell’Italia di oggi, un mondo grottesco da fare studiare nelle università. (continua)