mercoledì 16 marzo 2016

Non ci sono più soldi

Nei mass media si legge che l’Italia è in ripresa ma in molti non se ne sono ancora accorti. Quando accompagno mio figlio a giocare a calcio oltre alle classifiche e alle donne, si sta iniziando a parlare tanto anche di lavoro. Qualche papà l’ha perso e cerca disperatamente qualcosa per tornare a galla. Anche le società sportive sono in difficoltà e periodicamente si inventano qualcosa per ottenere qualche entrata economica extra. Perfino quelle che non hanno mai voluto avere più di due squadre per ogni categoria giovanile, adesso stanno iniziando a creare le quarte e perfino le seste squadre per ogni annata. Continuando così esauriranno tutte le lettere dell’alfabeto. Poi ci sono i genitori che non riescono più a sopportare i costi dell’attività calcistica del figlio. Tutte le spese dei baby calciatori ricadono sui genitori: abbigliamento, scarpette, trasporto, tornei, iscrizioni, contributi vari. In città le società calcistiche dilettantesche più blasonate solo di iscrizione annuale chiedono dai 400,00 ai 500,00 euro (kit compreso). Nella squadra di Luca per fortuna cerchiamo sempre di aiutare con discrezione chi sta attraversando qualche difficoltà ma a volte non basta e periodicamente qualcuno decide di andare via. In questi casi il figlio è ricollocato in realtà più economiche e anche meno distanti da casa, così in parte si abbattono i costi del trasporto per gli allenamenti. È anche vero che un tempo, i giocatori più bravi e "affamati" venivano dalla strada e dalle aree economiche più depresse. (continua)

mercoledì 9 marzo 2016

In campo il termometro della crisi

Ciao mi chiamo Greg e sono il papà di un bambino che gioca a calcio. La crisi economica, vera o costruita che sia, sta cambiando le persone spesso in peggio. Oggi le difficoltà rendono più cattivi. Il campo è un ottimo termometro della situazione sociale di una comunità o addirittura di un Paese. Il calcio giovanile mette insieme, stretti l’uno all’altra, le più disparate categorie sociali, dall’avvocato al fabbro, dall’imprenditore al barista, dal chirurgo al muratore. E in questi tempi diversamente luminosi, i campi dove si allenano i pargoli sono diventati degli sfogatoi. Non si trova un solo papà, neanche pagandolo, disposto a dichiararsi soddisfatto del proprio trend lavorativo, qualunque sia il settore di riferimento. Anzi qualcuno è anche rimasto a spasso e non riesce proprio a ricollocarsi. Per il resto è calato per tutti il volume di affari. E quelli che una volta vantavano con orgoglio il posto fisso sono spesso esauriti come bestie in gabbia perché costretti a lavorare il triplo alle stesse condizioni contrattuali del passato. L’ente in cui sono impiegati non può fare assunzioni neanche per sostituire chi è andato in pensione e il lavoro aumenta per chi è ancora in servizio. Qual è l’effetto di tutto questo in particolare durante le partite? Molti papà sono più nervosi del solito, urlano come ossessi, litigano alla prima occasione utile che non manca mai. Perfino nella stessa squadra o nella stessa società si moltiplicano i battibecchi tra genitori. Intanto, in campo i ragazzi più o meno ignari se ne fregano delle paturnie dei genitori e si divertono ancora a tirare calci al pallone. (continua)