Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. In questa seduta terapeutica vorrei parlarvi di un altro trauma che spesso colpisce il genitore inconsapevole (che è entrato suo malgrado nel mondo del calcio giovanile). Ci sono delle creature di varie forme che si manifestano negli spalti dei centri sportivi, non solo in occasione delle partite. A volte sembrano inoffensive. Nei modi di fare, parlare e vestire. Addirittura ricordano tanto certe perpetue del profondo Nord. Altre invece appaiono subito trasgressive, cloni di star televisive dedite a eccessi. Non fatevi ingannare. Le più pericolose sono sicuramente le prime. Sto parlando delle mamme che seguono i loro pargoli aspiranti calciatori. Le mamme che non si contengono, dicono sempre la parola di troppo e innescano pericolose scintille. Non ha importanza se la categoria è quella dei piccoli amici. Il buonsenso dovrebbe prevalere sempre. Nessuno, per esempio, rischierebbe di accendere un fuoco all'interno di magazzino di esplosivi. Queste mamme lo fanno un attimo dopo il fischio d’inizio di una partita e scatenano l’inferno. (continua)
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martedì 26 febbraio 2013
domenica 17 febbraio 2013
Tu sei cattivo, non voglio giocare più!
Alla prima partita il sergente istruttore riesce appena a contenersi anche perché la Soccer Kids vince con un punteggio pieno di 6 a 0. Alla seconda sono sotto di due goal e lui perde il controllo, come sempre. Deve sfogarsi con qualcuno e prende di mira Luca. “Vai avanti. Fermo. Indietro. Gira. Passa. Cambia. Avanti. Indietro. Fermo”. Neanche fosse un giocatore manovrato con il controller della PlayStation. Dopo cinque minuti mio figlio è completamente in tilt. Non riesce più a muoversi autonomamente. Si volta sempre verso l’allenatore per aspettare il suo nuovo comando. Lui gli urla contro con il volto gonfio e rosso per lo sforzo. Luca sembra spaventato e inizia a fare uno sbaglio dopo l’altro. Non è da lui. Vi ricordo che stiamo parlando di un bimbo di sette anni. Il mister dell’altra squadra si avvicina al sergente e gli dice di calmarsi. Lui non la prende bene e inizia anche a bestemmiare. Luca a un certo punto si ferma in mezzo al campo e gli dice: “Tu sei cattivo. Non voglio giocare più”. Il sergente lo afferra per la maglietta e lo strattona bruscamente. “Come ti permetti. Moccioso. Tu fai quello che ti dico io, altrimenti ti prendo a calci nel culo”. Mio figlio è molto orgoglioso e sta facendo di tutto per non scoppiare a piangere. Non ci riesce e si lascia andare e questa cosa lo umilia. Sono sconvolto, riesco a entrare in campo. Sto correndo verso il sergente Hartman con la chiara intenzione di dargli una sonora lezione. Per sua fortuna, mi bloccano in due. Una scena riprovevole, che faccio quasi fatica a raccontarvi ma questa è una terapia. Vengo accompagnato fuori dal campo e calmato dagli altri genitori. Chiedo che mio figlio venga portato nello spogliatoio, che non voglio che continui a giocare sotto la guida di quel pazzo. Tutto questo avviene sotto gli occhi di centinaia di persone. Il sergente Hartman viene prelevato quasi di peso dagli organizzatori del torneo e portato fuori dallo stadio. La squadra viene affidata a uno dei genitori accompagnatori. È l’ultima volta che il sergente allenerà una squadra e per me l’ultima volta che perderò le staffe. Luca è tornato in campo. Lui e gli altri adesso sono più sereni, giocano meglio e si stanno divertendo. Alla fine, la squadra si classifica al terzo posto. I bambini sollevano in aria la coppa e sono felici. Sono sicuro che Luca ha già dimenticato il sergente Hartman. Almeno lo spero. Sono un papà nel pallone. Continuerò a raccontarvi le mie disavventure nel mondo del calcio giovanile alla prossima seduta.
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giovedì 17 gennaio 2013
La bolgia nello spogliatoio
Voi non avete idea che cosa possa succedere in uno spogliatoio. Non faccio riferimento agli schiamazzi dei bambini. La Soccer Kids solo per il primo anno dei "Piccoli Amici" permette di fare una cosa che non andrebbe fatta, ossia lasciare libero accesso allo spogliatoio ai genitori. Lo scopo? I più piccolini possono essere aiutati a lavarsi e a vestirsi dai genitori, che ovviamente non si tirano indietro. Il risultato è sconcertante, a tratti drammatico. Se da un lato i bambini non si responsabilizzano, dall'altro si verificano scene di isterismo collettivo che ricordano tanto i vecchi film di Fantozzi. Intanto, vi descrivo la location. Lo spogliatoio è praticamente uno sgabuzzino, due panche, un lavandino, un tabellone e poi due porte. Una è quella dei servizi igienici rigorosamente alla turca e l'altra quella del loculo con tre docce che funzionano a senso alternato. L'acqua calda lo trasforma in un centro sauna pieno di vapore. Non si vede più una mazza a 15 centimetri di distanza dal proprio naso. La squadra è composta di dieci bambini seguiti da un allenatore e il suo vice, nonché da due dirigenti accompagnatori che nel segno del risparmio vengono scelti tra i genitori. Non è una cosa ottimale per tante ragioni, infatti, le società più attrezzate lo evitano. È meglio non fare il dirigente accompagnatore nella squadra dove gioca il figlio. Responsabilità, invidie e rischio di fare delle differenze. (continua)
domenica 13 gennaio 2013
Seconda seduta - Ho visto cose
Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Non ho ancora idea se questa terapia di gruppo potrà funzionare ma ho tanto bisogno di parlare con qualcuno. Questa storia del calcio mi ha cambiato la vita. Quando Luca a sei anni è passato alla categoria "Piccoli Amici" nella società Soccer Kids ho visto e sentito cose che voi umani non potete immaginare: madri ululanti scatenare le risse negli spalti; un dirigente sportivo picchiare a sangue l'arbitro nel bel mezzo di una partita; genitori arrampicati come scimmie alla rete di protezione del campo; un padre indemoniato bestemmiare in tutte le lingue del mondo; allenatori rimproverare e umiliare i piccoli giocatori; l'euforia della vittoria per tutti i goal segnati da nani con le scarpette; l'abbattimento che segue alla sconfitta. E tutti questi momenti andranno persi come lacrime nella pioggia. È tempo di curarsi. (continua)
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