martedì 15 gennaio 2013

Uno sport democratico

Amici, devo ammettere che in questi anni ci sono state anche delle cose belle. Seguire un figlio che fa calcio, è molto impegnativo. Ogni settimana devi mettere in conto gli allenamenti e le partite (che spesso si giocano in trasferta in posti sconosciuti e dispersi nella nebbia che neanche il TomTom riesce a trovare). Per non parlare del periodo dei tornei che generalmente scatta dopo la primavera. In pratica come genitore sei sottoposto a un'overdose di partite, che coinvolgono per intere giornate decine e decine di squadre. I tornei mettono a dura prova la resistenza fisica e mentale, roba che se la superi poi anche Rambo ti sembrerà un pivello. Perdi ore, giorni, settimane della tua vita accanto ad altri tossici come te. Chi sono? I genitori dei compagni di squadra di tuo figlio. Ma se ve la devo raccontare tutta, il calcio è la cosa più democratica che abbia conosciuto. Lo sport più amato dagli italiani mette insieme le più disparate classi sociali. Nella squadra, per esempio, ci sono il figlio del muratore, dell'avvocato rampante, del tipo tatuato in libertà condizionata, dell'impiegato di banca, della donna di facili costumi (ma bisogna fare finta di non notarlo), del politico, del bottegaio, del manager, del disoccupato, dell'immigrato incapace di pronunciare una sola parola in italiano. Insomma, persone che in condizioni normali probabilmente non prenderebbero insieme neanche un caffè o che difficilmente frequenterebbero gli stessi ambienti. Invece, la magia del pallone e l'amore per i figli uniscono l'impossibile, impongono a questi poveri tossici una convivenza forzata che dura il tempo di una stagione, da settembre a giugno. Sempre vicini come burro e marmellata, nella buona e nella cattiva sorte. A esultare all'unisono a ogni goal abbracciandosi con tanto entusiasmo come al programma "Carramba! Che sorpresa". (continua)

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