Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Scusate, ma sono emozionato. Non sono abituato a parlare in pubblico. Ho sempre preferito la lettura, il cinema o il teatro a una partita di pallone. Mi sono sempre limitato a seguire le partite della nazionale con i colleghi di lavoro, più per stare in compagnia che per passione. E anche se da bambino sono stato un temuto terzino, non ho preso il vizio. Devo ammettere che dalla scuola elementare fino all’Università ho seguito la Juventus, la squadra del cuore di parenti e amici. Una questione di tradizione. Poi ho smesso. In questi anni mi sono tenuto in forma praticando sport come, canoa, arti marziali, nuoto e corsa. I tossici del pallone hanno iniziato a prendermi in giro chiedendomi: “Perché non segui il calcio? Sei malato? Hai qualche problema mentale?”. Non ho mai ceduto. Il pallone, però, è rimasto in agguato, pronto a cogliere la minima debolezza e alla fine mi ha raggiunto in maniera subdola sfruttando un bimbo, mio figlio. Una mattina durante la colazione mi guarda con aria seria e dice: “Papà voglio giocare a calcio”. Io: “Sei sicuro? Ci sono altri sport interessanti”. Lui: “No! Voglio giocare a calcio. Punto e basta”. (continua)
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