È dura la vita dei dirigenti accompagnatori, dei genitori che mettono volontariamente a disposizione del loro tempo per svolgere diverse funzioni al servizio di una o più squadre. Non sono né carne, né pesce. Non sono considerati dai genitori dei loro pari e non sono presi in considerazione nelle scelte della dirigenza.
Svolgono un semplice ruolo di formiche operaie e di parafulmine tra genitori e società. Devono lavorare, tacere e mediare ove possibile tra sensibilità diverse. In effetti, si occupano di un sacco di cose, delle maglie, della pulizia, delle distinte, delle previsioni meteo.
Nelle realtà più serie si evita accuratamente che un genitore svolga la funzione di dirigente per la squadra dove gioca il figlio, al fine di evitare favoritismi veri o presunti e quindi sterili polemiche. Insomma, può accadere la stessa situazione negativa che si verifica nelle scuole, dove ci sono delle mamme che si strappano le vesti per fare le rappresentanti di classe, ma con il solo scopo egoistico di curare gli interessi del proprio pargolo e di fare le super ruffiane con le insegnanti.
Come al solito, c’è sempre qualcuno che non agisce per la squadra, un gruppo o una comunità, bensì solo per pensare ai propri fattacci.
Il problema è che nella maggioranza delle società calcistiche giovanili, la scelta è di nominare dirigenti di una squadra i genitori di ragazzi che ne fanno parte. E tutto così può diventare più complicato. (continua)
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