Cari amici di terapia, sono il papà di un ragazzo che gioca a calcio. Nella vita ci sono cose più importanti del calcio, che comunque resta lo sport più popolare del pianeta. Per il resto il problema è complesso. Sul rilancio del calcio giovanile e il deleterio eccesso di stranieri dalle giovanili, tutto si è fermato alla becera strumentalizzazione politica.
Il sistema del calcio italiano, analogamente ad altri settori, è segnato in negativo da una classe dirigente non sempre all'altezza. Da qualche anno autorevoli personaggi del mondo dello sport hanno sollevato un problema che, se fosse affrontato con il giusto approccio; potrebbe aprire la strada a delle importanti riflessioni sul calcio italiano.
Uno dei principali problemi è il difficile ricambio generazionale, nonostante il territorio nazionale pulluli di società calcistiche dilettantistiche e professionistiche. Il bimbo (o la bimba) possono iniziare a fare calcio sin dalla tenera età di 5 - 6 anni (una volta si iniziava più tardi), per poi finire (se va bene) parcheggiato (quando si ha talento o per restare in tema tramite un calcio nel sedere) nel vivaio di qualche importante società calcistica. I ragazzini sono un business per molti. Dicono che solo un bambino ogni 10 mila riesce a diventare un giocatore professionista.
L’apparato del calcio e le società italiane, a differenza della Spagna che lo sta facendo da anni con ottimi risultati dimostrati dai numeri e dalle vittorie in tutte le competizioni, non investono sulla “cantera”, sui vivai. Non gli interessa formare, fare crescere ragazzini da inserire nelle professionistiche ai diversi livelli.
Sempre per motivi di business, le società preferiscono pescare giocatori giovanissimi da tutte le parti del mondo, dall'Africa, dall'Est Europa ma anche dal Nord Europa. Per fare cosa? Investire su di loro, formarli e poi venderli. Potrebbe anche essere una scelta “imprenditoriale” sensata, ma oramai puntano quasi tutto sugli stranieri.
I vivai ne sono pieni. I ragazzini italiani (o comunque nati in Italia) sono in nettissima minoranza. Le loro possibilità di crescere, di dimostrare il proprio talento sono davvero ridotte al lumicino. Il sogno di arrivare alle professionistiche più alte, Serie A e Serie B, è impossibile. Con la mentalità e la gestione degli ultimi anni, un nuovo Pirlo, Totti, Del Piero o Buffon, rischierebbe di restare fuori dal circuito del professionismo. Nella Serie A, la larga maggioranza della rosa è composta da giocatori stranieri (francesi, inglesi, argentini, nordafricani…).
Come giustamente è stato detto, i club italiani di fatto oramai allenano e formano i futuri giocatori delle nazionali straniere. In questo modo, sarà sempre più difficile trovare dei nuovi campioni italiani da inserire nella nazionale e nelle società professionistiche. Imitando gli spagnoli invece si dovrebbe tornare a investire di più e con serietà sui giovani italiani per rilanciare il settore, per tornare ad avere anche una nazionale forte e credibile. Lo stanno denunciando da più parti ma quando se ne parla accade solo per becere strumentalizzazioni politiche, come d'altronde accade per ogni altro argomento. (continua)
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