A un torneo ogni ragazzo deve essere obbligatoriamente accompagnato almeno da un genitore. Non è invece imposto che sia tutta la famiglia, fino alla settima generazione, a spostarsi in blocco. Alla fine, al torneo in Toscana, la nostra squadra della Soccer Kids ha partecipato con 50 persone, tra aspiranti campioni del pallone e famiglie al seguito con tanto di pargoletti appena nati e anziani nonni che appena riescono a stare in piedi reggendosi con un bastone.
Non avete, però, idea dell’effetto galvanizzante di un torneo per un vecchietto. È meglio di qualsiasi programma alle terme e di qualsiasi eccitante, comprese le note pasticche blu. Un nonno che vede correre il proprio nipote dietro a una palla ringiovanisce di 20 anni, inizia a urlare per fare il tifo, a gettare il bastone lontano e ad appendersi alla rete muovendola come fanno le scimmie dello zoo. Il calcio fa miracoli, signori miei.
Altro punto nodale del torneo è stato decidere come suddividere i giocatori nelle stanze. Pur essendoci un forte spirito di squadra, ogni ragazzo ha qualcuno con cui lega di più e con cui spera di finire in camera per ridere e magari giocare insieme con qualche dispositivo elettronico (che in realtà sarebbe vietato). Non sempre però è facile accontentare tutti. In ogni modo, i ragazzi sono stati “distribuiti” in stanze da tre e da quattro.
Poi è toccato anche ai genitori. Ogni famiglia al completo (madre, padre e eventuali fratelli del calciatore) ha avuto una stanza. I nonni e i genitori singoli (mamma o papà) che hanno accompagnato il proprio ragazzo invece sono stati sistemati in singole o doppie. A me, per esempio, è toccato dividere la stanza con il papà del nostro portiere, un logorroico che continuerebbe a parlare senza mai fermarsi per intere settimane, anche se un terrorista islamico gli separasse con un coltello la testa dal corpo. Un incubo. (continua)
Nessun commento:
Posta un commento